Articolo di Fabio Virgnano, La Stampa
La Panchina d'oro assegnata a Prandelli per il secondo anno.
La panchina di Roberto Mancini è d’oro soltanto per Moratti e per quanti hanno a cuore le sorti dell’Inter. Non è bastato uno scudetto vinto e un secondo in dirittura d’arrivo (lasciamo perdere quello a tavolino) per farlo diventare il miglior allenatore italiano. E questa volta non potrà prendersela con i soliti giornalisti con cui ha un pessimo rapporto, perché lo perseguitano con le solite domande che lui etichetta spesso come insulse e fastidiose. A negargli il premio che ieri è stato assegnato a Coverciano, è stata una giuria composta dai suoi colleghi, che gli hanno votato la sfiducia come il Senato ha fatto con Prodi. A lasciarlo a mani vuote è stata la stessa categoria di addetti ai lavori che anni fa lo accusò di essere diventato abusivamente allenatore, ovvero di essersi presentato in serie A senza aver frequentato il corso di laurea per ottenere il patentino di prima categoria.
Mancini incassa la seconda sconfitta consecutiva. Mentre Claudio Prandelli (voto personale proprio a Mancini) porta a casa la seconda vittoria consecutiva. Forse uno che allena una squadra composta soltanto da stranieri è da ritenersi fuori concorso a prescindere. O forse, pensano ancora i colleghi, è facile vincere gli scudetti quando hai un gruppo di campioni come quelli che Moratti gli ha affidato. Da seminare, da costruire c’è poco. Al massimo si possono fare dei danni e Mancini a volte c’è pure riuscito. Certamente ci ha messo più di suo il bravo e umile Prandelli, che nella scorsa stagione non ha vinto la Champions League e neppure lo scudetto, ma ha portato la Fiorentina in Coppa Uefa senza avere una squadra di fenomeni.
Non risulta che ieri sera Mancini, di ritorno da Firenze, sia stato visto in lacrime all’autogrill di Cantagallo mentre si sfamava a Coca, rustichella e tiramisù, il suo dolce preferito. Il Mancio è superiore, non è tipo che perde il sonno per una «panchina d’oro» negata. E poi alle sconfitte personali pare abituato negli ultimi tempi. Tanto per citare un altro affronto, agli Oscar del calcio assegnati dall’associazione calciatori il mese scorso, Mancini non era stato neppure inserito nelle nomination dei migliori tecnici. Quella volta votavano i calciatori, ovvero altri addetti ai lavori. Che ci sia in atto una congiura? Pensiamo positivo, sono piccoli incidenti di percorso che non lasciano traccia. Salamelecchi manciniani a Prandelli: «Sono contento per lui, è un grande allenatore e lo sta dimostrando da anni. Un premio meritato». Prandelli, che ha dedicato il premio a Salvatore Garritano in lotta contro una grave malattia, anche in questa occasione non ha tenuto nulla per sé: «Porterò questo riconoscimento negli spogliatoi e dirò ai giocatori: è vostro».
Mancini vincerà lo scudetto e il prossimo anno ritenterà. Nell’élite degli allenatori che contano c’è da tempo, non è necessario che riconoscano i suoi meriti con dei soprammobili da mettere nel salotto di casa. E poi a volte i premi non portano fortuna. Gigi Simoni venne cacciato dall’Inter proprio nel giorno in cui gli consegnavano il Seminatore d’oro, il più importante riconoscimento che si possa attribuire a un tecnico. E a informarlo del licenziamento furono i giornalisti che batterono in volata il tentennante Moratti. Mancini non rischia l’esonero. Ibra, Cruz, Cambiasso, sono dei bei puntelli per il presente e anche per il futuro. Futuro che appartiene a Giampiero Gasperini, allenatore del Genoa, cui hanno consegnato la «panchina d’argento». Un tecnico che si sta facendo largo in una realtà difficile come quella genoana. Poco manciniano e molto prandelliano.
Nessun commento:
Posta un commento