venerdì 8 ottobre 2010

La lezione di speranza di chi gioca solo per giocare


Articolo pubblicato dal Centro Sportivo Italiano Vallecamonica

Sono arrivato a Johannesburg l’altro ieri. Sono venuto sin qui per il Mondiale. No, non sono clamorosamente in ritardo di almeno due mesi. In questi giorni in Sud Africa si sta disputando un altro Mondiale, forse più bello di quello che a luglio ci ha regalato tanta delusione. Partecipano squadre under 12 provenienti da 40 Paesi di ogni parte del mondo. Il bello è che l’Italia è rappresentata da due squadre del Csi: il Tor Tre Teste Roma e il Lattedolce Sassari. Sono le squadre che negli ultimi due anni hanno vinto la fase italiana del torneo, staccando così il biglietto per Johannesburg. Siamo orgogliosi che sia il Csi a rappresentare il nostro Paese in quella che è la manifestazione mondiale più rilevante (almeno per numeri) di questa fascia di età. Qui è uno spettacolo, ve lo assicuro. Vedere ragazzi provenienti da tutto il mondo vivere e giocare insieme per tre giorni, regala emozioni che non si possono mettere nero su bianco. Un paio di considerazioni vale la pena condividerle. Lo sport è uno strumento educativo straordinario. Lo sappiamo e lo viviamo da sempre e non abbiamo certo bisogno di venire in Sudafrica per affermarlo. Tuttavia vedere ragazzi di Paesi diversi - lontani tra loro per migliaia di chilometri, culture, religioni, tradizioni - che si incontrano in aeroporto senza conoscersi e che - dopo poche ore - sembrano amici da sempre, fa riflettere. Le potenzialità educative dello sport sono proprio devastanti e non conoscono limiti insuperabili. Fa riflettere anche la mentalità africana. Atterrando a Johannesburg si vedono subito tanti campetti da calcio. Ce ne sono in tutta la città. Alcuni belli, altri orribili. In tutti (e per strada) è vietato giocare senza gioia e allegria. Qui funziona così, punto e basta. Basta guardare i ragazzi per leggerlo nei loro occhi. Stando in questa terra non riesci a non dire a te stesso: lo sport per i ragazzi è questo, e allora perché da noi rischiamo di perdere quella gioia e quell’allegria che qui è naturale respirare come l’aria?. Le nostre due squadre qui - è certo - non dimenticheranno questa esperienza per tutta la vita, ma è anche certo che non importa se si tratta di una finale mondiale o di una partita in oratorio; non importa se giocano 40 squadre in rappresentanza di tutti i continenti o se partecipano tre squadre del quartiere; non importa se si gioca nello stadio della finale di luglio o sul campetto sgangherato dell’oratorio… Quello che importa è che lo sport, se mette al centro la persona, aiuta a vincere la sfida educativa. A qualsiasi latitudine e in qualsiasi contesto.