sabato 14 febbraio 2009

Il ricordo di Giacomo Bulgarelli, icona di un calcio pulito ed educato


Articolo pubblicato da Tiscali Sport a cura di Ignazio Dessì

Rappresentava un calcio che probabilmente non c’è più. Con Giacomo Bulgarelli se n’è andato un altro pezzo di storia del pallone italiano e la sensazione è un po’ la stessa di quando morì Giacinto Facchetti: la sensazione di aver perso qualcosa di prezioso, pulito, amabile. Grandi calciatori, soprattutto gentleman. Protagonisti di uno sport in bianco e nero che lasciava spazio al sentimento più che al business. Se n’è andato "l’onorevole Giacomino", bandiera del Bologna e della Nazionale che trionfò agli Europei del ’68, e con lui, una parte della gioventù di tanti appassionati del pallone, come hanno scritto molti tifosi, di ogni colore, nei blog. Persone che, in protagonisti positivi come l'ex bandiera del Bologna, vedevano l'icona di un calcio "pulito ed educato". Quando muore qualcuno si tende sempre ad enfatizzare i suoi pregi, ma in questo caso – come fa notare uno che l’ha conosciuto da vicino come Giancarlo De Sisti – “le parole di rimpianto e ammirazione non sono sicuramente sprecate”.

“E' stato un modello di riferimento – confessa Picchio – e un amico. Era poco più grande di me e ricordo che cercavo di ispirami a lui. Ha giocato magnificamente, sia in Italia che in Europa. Era intelligente, pratico, bello da vedere e, per me ed altri giovani centrocampisti di quel periodo, cercare di arrivare a lui e imitarlo era quanto di meglio ci potesse essere. Dal punto di vista umano era adorabile, divertente, scherzoso. Quando arrivava la vigilia di una partita tra Fiorentina e Bologna non vedevo l’ora di scendere in campo. Per me era l’occasione per incontrare Giacomo Bulgarelli. La maledetta malattia che lo aveva colpito è stata lunga e, sinceramente, non mi aspettavo che le cose precipitassero in questo modo. Avevo seguito la sua vicenda e mi informavo continuamente attraverso amici comuni. Ultimamente avevo paura di telefonargli, non volevo creargli ansie. Ci mancherà tanto”.

E’ una tristezza particolare anche quella che ha avvolto Bruno Pizzul nell’apprendere la notizia della morte dell’”amico” con cui aveva condiviso esperienze professionali e umane. “Si sapeva che non stava bene – dice il decano dei giornalisti sportivi – ma si sperava che recuperasse. Ricordo una persona stimabile, a cui mi legava una amicizia profonda, innamorata delle cose semplici della vita. Cose vere, come una buona mangiata o una bella chiacchierata. Un uomo dai valori genuini, attaccato alla famiglia e agli amici. Tanto che durante le nostre trasferte per le telecronache in Giappone e Corea, girava continuamente per i mercatini per cercare un kimono da acquistare, un regalino da portare a chi gli era caro. Dal punto di vista sportivo, aveva una capacità di tenere il campo incredibile. Era un centrocampista d’ordine, con una visione di gioco altissima, espressione di quel “calcio e salame”, come si diceva a quei tempi, semplice, pieno di sentimento, non contaminato da altri interessi. Lui si espresse in un momento in cui in Italia brillavano altri centrocampisti dall’enorme talento (Rivera, Mazzola, De Sisti e altri), eppure fuori dal campo non ebbe mai rivali, tantomeno nemici: era davvero amico di tutti e tutti gli volevano bene”.

Come gliene voleva Sandro Mazzola, un altro dei più grandi calciatori di quell’epoca d’oro, emblema dell’Inter e protagonista della selezione azzurra. “E’ stato uno dei centrocampisti tra i più completi del nostro calcio - ricorda l'ex fantasista nerazzurro - Sapeva impostare il gioco, difendere ed anche fare gol, quando si presentava l’occasione. Come uomo lo ricordo con grande rimpianto. Abbiamo passato insieme tanti momenti in ritiro, ed era un compagnone eccezionale: sempre pronto alla battuta, propenso al sorriso e agli scherzi tra amici. Sapeva tuttavia ridiventare serio al momento opportuno. Sicuramente incarnava la figura di un personaggio pieno di buoni valori. Io non credo che sia proprio giusto dire che apparteneva a un calcio che non c’è più, perché anche il calcio odierno trova la forza di essere degno e va avanti. Ma Giacomo era certamente uno che riportava alla mente i migliori valori di questo sport”.