sabato 4 settembre 2010

Traversata Bocche di Bonifacio a nuoto

Alla conquista delle Bocche. Marco Ferraro le sta attraversando a nuoto


Comunicato n. 1 delle ore 9,30 (Gallura Informazione)
È partito questa mattina alle ore 8,10 da Capo Sperone in Corsica (Francia) Marco Ferraro, maddalenino di 42 anni, dipendente della Difesa, provetto nuotatore. Sta tentando l’impresa di attraversare a nuoto le Bocche di Bonifacio. Alle 9,30 si trovava già in vista di Lavezzi. Sta procedendo al ritmo di 70 bracciate al minuto. Il mare è un po’ mosso. È accompagnato da 3 imbarcazioni e quattro gommoni, dei quali 2 francesi. In uno è presente il medico maddalenino Vincenzo Leotta, in un altro personale del 118 di La Maddalena guidato da Sergio Torturu. È presente personale del Parco Nazionale con Mirko Ugo. E’ ancora in acque territoriali francesi. Al confine con le acque territoriali italiane è atteso da 2 mezzi della Guardia Costiera e da 1 della Marina Militare. Previsto arrivo a La Maddalena (Italia), a Cava Francese, attorno alle ore 17,00. Aggiornamento su Gallura Informazione alle ore 11,00.

Comunicato n. 2 delle ore 11,10 (Gallura Informazione)
Marco Ferraro alle 10,40 circa si è lasciato alle spalle la Francia ed è entrato nelle acque territoriali italiane. Procede spedito, nuotando a stile libero, verso l’isola di Razzoli. Ha leggermente diminuito la media delle bracciate (67 al minuto). Ogni 30 minuti osserva una breve sosta (l’ultima è stata alle 11,00) per bere e ingerire piccoli cibi solidi. Ha una muta nera a maniche lunghe, cuffia bianca e occhialini.

Comunicato nr. 3 delle 12,39 (Alleniamo.com)
Marco sta attraversando Razzoli, 65 bracciate al minuto, beve con maggiore frequenza. Forti correnti lo stanno portando leggermente fuori rotta.

Foto di Giuseppina Masu

mercoledì 1 settembre 2010

I colpi di testa tra gli adolescenti? Pericolosi, almeno a sentire la Federazione dei Paesi Bassi, che ha pensato di proibirli a tutti i calciatori


Addio ai colpi di testa?
Fonte: Sport.it

Addio ai colpi di testa?Sembrerebbe di sì, almeno a sentire la federazione olandese. Il massimo organo federale dei Paesi Bassi ha proibito i colpi di testa, in partita ed in allenamento, a tutti i minori di 16 anni. Il motivo della decisione, che fa già discutere da parecchi mesi, prende le mosse da una ricerca condotta dal Comitato scientifico governativo olandese. Secondo gli studi, in un adolescente colpire il pallone con la testa può produrre danni neurali anche molto forti.
Addirittura i continui impatti con il pallone vengono giudicati equivalenti ad un trauma cerebrale o ad un edema. La ricerca è stata condotta su un campione composto da tre tipologie di giovani sportivi: calciatori, pugili e giocatori di hockey sul ghiaccio. Se i risultati erano in qualche modo prevedibili nel caso delle altre due discipline, desta invece sorpresa vedere associati questi rischi ad una pratica sportiva considerata innocua come il calcio e vedere paragonato un colpo di testa ad un uppercut di un pugile.
A complicare il tutto c’è il fatto che, secondo le conclusioni del Comitato, i danni causati da questi microtraumi si manifestano a medio-lungo termine, perlopiù a carriera agonistica ormai conclusa. Perdita di memoria, deficit nella capacità di concentrazione, difficoltà motorie, emicranie persistenti, questo quanto rischiano i giovani calciatori.
La decisione della federazione olandese, che potrebbe un giorno essere seguita da altre federazioni è stata però oggetto di diversi dubbi e contestazioni. Innanzitutto, sono state mosse alcune obiezioni di natura “metodologica”, che contestano la validità degli studi. Su un campione composto da 88 giovani calciatori, solo 16 rivelavano l’esistenza di piccoli traumi cerebrali. Secondo alcuni, quindi, una percentuale troppo piccola per poter trarre conclusioni di carattere generale.
A favore del colpo di testa ci sono anche altre motivazioni. Alcuni osservano che oggi la tecnologia permette di fabbricare palloni con materiali assolutamente innocui, garantendo così la massima tutela della salute degli atleti (magari non quella dei minori, sfruttati in tanta parte del mondo per cucire l'oggetto del desiderio di tanti coetanei) Altri obiettano che il compito delle scuole calcio è proprio quello di insegnare agli adolescenti il giusto modo di colpire la sfera.

Fonte: Periodico L'Allenatore,
Esiste un rapporto fra la sclerosi laterale amiotrofica ed il calcio? Fatti ed ipotesi di Giorgio Galanti*, Valentina Di Tante** e Paolo Manetti***

I recenti e numerosi casi di ex-calciatori colpiti dal morbo di Lou-Gehrig hanno alimentato dubbi e timori cui ci auguriamo possa dare una esauriente risposta l’interessante articolo che proponiamo.

I fatti
Cosa è la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) o malattia di Lou-Gehrig?
La sclerosi laterale amiotrofica o malattia di Lou-Gehrig è una malattia neurodegenerativa che provoca la progressiva distruzione dei motoneuroni presenti nella corteccia motoria e nelle corna anteriori del midollo spinale; queste cellule nervose trasmettono i comandi per il movimento dal cervello ai muscoli e quando, per il progredire della malattia, non sono più in grado di inviare i propri comandi, i muscoli volontari vanno incontro ad una progressiva atrofia e paralisi.
L’incidenza della malattia nella popolazione generale è di 0,6-2,6 nuovi casi per 100.000 abitanti/anno. I valori di incidenza/prevalenza in Italia sono i più elevati dei paesi occidentali, con 1,7 casi per 100.000 abitanti/anno: circa 800 nuovi malati ogni anno. Tuttavia due sono le zone del mondo particolarmente colpite: l’isola di Guam, nel Pacifico, e la penisola di Kii, nel Giappone; probabilmente in relazione a fattori ambientali, quali le abitudini alimentari.
La SLA colpisce prevalentemente gli adulti, con maggiore incidenza nella fascia d’età compresa tra i 50 e i 70 anni, di entrambi i sessi (con lieve prevalenza nel sesso maschile).
Nella maggioranza dei casi si tratta di una malattia sporadica, che può colpire chiunque; solo nel 10% dei casi viene trasmessa geneticamente (SLA familiare), per lo più con modalità autosomica dominante (SLA familiare di tipo 1). Nelle forme familiari la patologia si manifesta precocemente e presenta un’evoluzione piuttosto rapida.
L’esordio della malattia è generalmente subdolo; il malato riferisce astenia e affaticamento muscolare. Talora presenta crampi, strane cadute a terra e/o difficoltà a tenere in mano gli oggetti, segni e sintomi aspecifici di un male che porta inevitabilmente all’exitus nel giro di circa 3 anni. Con il progredire della malattia sempre più muscoli vengono interessati fino alla paralisi completa degli arti, alla difficoltà o impossibilità a masticare, deglutire, parlare. Normalmente sono risparmiate le funzioni vescicali e sessuali.
Nelle fasi molto avanzate della malattia si rendono necessari presidi medico-chirurgici per rendere possibili l’alimentazione e la respirazione. Più dell’80% dei soggetti affetti muoiono per un disturbo respiratorio, aggravato da superinfezione bronchiale.
La SLA è una malattia drammatica che distrugge progressivamente ogni distretto muscolare, rendendo il paziente incapace di compiere qualsiasi atto della vita quotidiana, lasciandolo tuttavia completamente cosciente del proprio decadimento. Le cellule nervose corticali, deputate al controllo dell’intelletto, della memoria e dell’emotività, non sono infatti interessate dal processo degenerativo. L’impatto psicologico della malattia è notevole e la depressione dell’umore è comune a quasi tutti i malati e necessita di precoci e specifici provvedimenti.
La diagnosi si effettua usando vari tests ed esami di laboratorio, Risonanza Magnetica, Biopsia nervosa e muscolare, esami elettrodiagnostici.

Attualmente non esiste terapia efficace.
Le ipotesi
La ipotesi genetica
Le cause della specifica degenerazione motoneuronale sono tuttora sconosciute. Uno dei fattori di rischio più significativi e meglio sostenuti da osservazioni scientifiche epidemiologiche è la familiarità per SLA. Nel 1993 Rosen e collaboratori identificarono la mutazione genetica responsabile di circa il 10% dei casi di SLA familiare. Il gene in questione codifica per un enzima, la superossido dismutasi di tipo 1 (SOD1), che ha azione protettiva nei confronti della cellula liberandola dai radicali liberi. Tale proteina, presente nel citoplasma di tutte le cellule dell’organismo, se mutata sembra acquisire proprietà tossiche selettivamente sui motoneuroni. La mutazione di un altro gene, ALS 2, è responsabile della forma giovanile di SLA di tipo 2, provocando la perdita di funzione di una proteina, l’alsina, coinvolta nella organizzazione del citoscheletro della cellula. Tuttora non è chiaro come e perché le mutazioni della SOD1 e dell’ASL2 provochino la degenerazione selettiva delle cellule motoneuronali.
Numerosi studi sono attualmente in corso per identificare i fattori di rischio genetici associati alla predisposizione individuale a contrarre la malattia nei casi di SLA sporadici. Nel sangue di soggetti affetti da SLA è stato rilevato un aumento dei livelli di glutammato; inoltre recentemente è stata osservata, in questi soggetti, una riduzione di una delle proteine responsabili della rimozione del glutammato extracellulare (trasportatore gliale del glutammato) proprio nelle regioni del midollo spinale e del cervello interessate dalla malattia. Il glutammato svolge normalmente un’azione eccitatoria per i motoneuroni, ma se presente a livelli superiori alla norma diventa tossico per i motoneuroni stessi.
La suscettibilità genetica a contrarre la SLA è anche evidente nell’espressione fenotipica del soggetto. Gli atleti risultati affetti dalla malattia o deceduti a causa di essa presentavano per lo più una costituzione fisica snella e un indice di massa corporea basso.

SLA, traumi ed attività sportiva
Nei calciatori è stata osservata in Italia un’incidenza di SLA 5 volte superiore rispetto alla popolazione generale. Inoltre l’età di insorgenza della malattia in questo gruppo di soggetti è significativamente precoce rispetto alla media. Da queste osservazioni numerosi studiosi hanno formulato ipotesi per spiegare il motivo di questa “epidemia” nel mondo del calcio.
Il calcio rappresenta, per molti studiosi, una disciplina sportiva a rischio di insorgenza di SLA per i continui traumatismi ai quali il sistema nervoso centrale è sottoposto mediante il colpo di testa. I giocatori di calcio infatti, diversamente rispetto ad altri sport, colpiscono la palla di testa senza avere nessuna protezione. La forza con cui il pallone impatta sul cranio è di circa 500-1200 Newton, tuttavia essa si distribuisce prontamente anche sul collo e sul tronco.
Diverso è invece, ad esempio, il caso dei pugili, categoria anche questa a rischio per lo sviluppo di un’altra malattia neurodegenerativa, la cosiddetta “demenza pugilistica”. Questi atleti ricevono pugni sulla faccia e sulla scatola cranica che hanno una forza molto più elevata (fino a 6300 Newton) e che viene quasi del tutto assorbita dalla testa e dal cervello. Interessante è che solo i pugili che presentano una determinata predisposizione genetica (allele APO E4) sviluppano la demenza di grado severo.
Altri studi hanno inoltre dimostrato, in seguito a traumi cerebrali anche di lieve entità, un incremento dei livelli plasmatici e nel liquido cefalo-rachidiano, di una proteina (s-100 betaproteina) indice della sofferenza delle cellule nervose. Per mesi (fino a 9) sono presenti i segni di tale sofferenza e se nel frattempo la zona precedentemente lesa viene colpita nuovamente, la lesione che si viene a creare è di gran lunga più grave della prima. Già nel 1996, per tale scoperta, la federazione hockey internazionale, vietò di giocare senza casco omologato; attualmente l’intervento di testa è severamente vietato per i calciatori di età inferiore ai 16 anni dalla federazione olandese gioco calcio. Rod Markham, neuropsicologo di Sydney, nel giugno 2004, espone al giornale La Stampa la sua ricerca; avendo studiato per tre anni la malattia, analizzando le scatole craniche di alcuni calciatori professionisti, ha concluso che dovrebbero essere vietati i colpi di testa (oppure i calciatori dovrebbero indossare un casco protettivo), in quanto responsabili di micro-traumatismi cumulativi. Tuttavia sono ancora scarse le evidenze scientifiche sul ruolo del neurotrauma nelle genesi della SLA e alcuni studi, tra i quali uno recente pubblicato su Neuroepidemiology nel 1999, non hanno confermato tale associazione.
Anche se i risultati degli studi scientifici sulla relazione fra traumi cranici, del collo e della colonna e SLA sono spesso contrastanti, in parte per la presenza di dubbi relativi alla definizione di trauma, non si può negare che, in soggetti geneticamente predisposti, il neurotrauma sia un fattore di rischio per la SLA.
Un’altra ipotesi avanzata da alcuni scienziati (Felmus 1976; Granieri 1988; Gregoire 1991) e suffragata da altri, è che l’attività fisica vigorosa possa, assieme ad altri fattori ambientali e costituzionali, essere responsabile dell’insorgeneza della malattia. Studi precedenti, ma indiretti, hanno dimostrato che durante l’esercizio fisico si ha la produzione di specie reattive dell’ossigeno. I radicali liberi dell’ossigeno si creano, nei calciatori, dalla combinazione dello sforzo fisico intenso con altri fattori; in effetti le abitudini dietetiche (alimenti pro-ossidanti), l’uso prolungato di farmaci antinfiammatori, le ischemie ripetute seguite da iperivascolarizzazione (dovute ai microtraumatismi o all’attività anaerobica prolungata seguita da improvvisa riossigenazione) possono rappresentare ulteriore fonte di stress ossidativo, al quale il sistema nervoso centrale è particolarmente senisibile. Esso contiene infatti una grande quantità di substrati facilmente ossidabili.

Altre ipotesi
Alcuni studi epidemiologici hanno evidenziato un’associazione fra SLA ed esposizione ad agenti tossici. Tra quelli maggiormente chiamati in causa sono i pesticidi e i fertilizzanti. In effetti secondo uno studio epidemiologico condotto in Sardegna, la prevalenza della malattia tra gli agricoltori è doppia rispetto alla popolazione generale. Tali sostanze utilizzate anche per la manutenzione del campo da gioco potrebbero essere responsabili oltremodo dell’insorgenza della malattia tra i calciatori.
Alcuni studiosi hanno proposto invece la patogenesi autoimmunitaria. Hanno infatti dimostrato la presenza di disordini linfoproliferativi e anticorpi anticanali del calcio “L-type voltage-gated” in alcuni casi di SLA.

“Motor neurone Mystery”
In un articolo di review apparso su Current Medical Research and Opinion (vol 20 n 4 del 2004) gli autori parlano di “Motor neurone Mystery”, frase usata per la prima volta da Tom Kington nel suo articolo comparso il 25 Febbraio 2003 sul sito internet della Uefa, nel quale si faceva riferimento ad inchieste giornalistiche e giudiziarie italiane sull’abuso di farmaci nello sport. Dallo studio epidemiologico condotto su 24.000 calciatori che avevano giocato tra il 1960 e il 1996, sembra emergere che la sclerosi laterale amiotrofica abbia una prevalenza nei giocatori di calcio 20 volte superiore a quella della popolazione in generale.
E’ stata quindi ipotizzata una correlazione fra doping e SLA specialmente in atleti di alto livello che si sottopongono a sforzi fisici importanti. In un recente studio, pubblicato su Lancet Neurology, Simone Beretta ha ipotizzato che l’abuso di farmaci antinfiammatori possa avere un importante ruolo nella morte motoneuronale. Secondo Beretta infatti mentre il corretto uso di queste sostanze impedisce l’attivazione gliale (coinvolta nella morte motoneuronale), l’abuso provocherebbero una permanente inibizione di questa attivazione, responsabile della degenerazione dei motoneuroni nella SLA.
Tuttavia le possibili connessioni tra SLA e Doping non sono ancora state trovate. Anche perché questi dati, che non sono stati pubblicati in riviste scientifiche nazionali o internazionali ma sono frutto di inchieste giudiziarie e giornalistiche, rendono difficilmente sostenibile l’ipotesi che il doping e lo sforzo fisico strenuo possano essere responsabili dell’insorgenza della malattia; infatti in un gruppo di 6000 ciclisti professionisti degli ultimi 30 anni, nei quali si sono registrati numerosi casi di eteroplasia, nessun ex corridore risulta deceduto o affetto dalla SLA. Tutto ciò ha comunque scatenato un interesse generale cosicchè molti ricercatori stanno tuttora indagando sulla possibile relazione tra doping e calcio.

Conclusioni
• Fino ad oggi in letteratura non ci sono evidenze scientifico-epidemiologiche che mettano in relazione il doping o l’esercizio fisico strenuo alla malattia di Lou-Gehrig.
• Attualmente è opinione comune che la SLA sia una malattia a genesi multifattoriale, nella quale, su una determinata predisposizione genetica, probabilmente dovuta ad una specifica combinazione di geni, agiscono numerosi fattori ambientali.
• Benchè il neurotrauma appaia essere un fattore di rischio per la SLA, perlomeno in soggetti geneticamente predisposti-atleti alti e magri-solo una valutazione prospettica su larga scala in soggetti che abbiano avuto neurotraumi potrà dare una risposta definitiva a questa controversia epidemiologica..
• Insieme agli studi epidemiologici saranno necessari anche studi sperimentali per indagare le conseguenze a lungo termine di ripetuti traumi cerebrali per poter chiarire i meccanismi responsabili delle lesioni nervose capaci di indurre neurodegenerazione, studi che dovranno essere fatti anche negli animali geneticamente predisposti.

Bibliografia
Rosen DL. Et al. Mutation in Cu/Zn superoxide dismutase gene are associated with familial amyotrophic lateral sclerosi. Nature 1993; 362: 59-62.
Charles T., Swash M. Amyotrophic lateral sclerosi: current understanding. J. Neurosci. Nurs. 2001; 33 (5): 245-53
Beretta S. et al. The sinister side of Italian soccer. Lancet Neurology 2003; 11:656
Cruz DC. Et al. Physical trauma and family history of neurodegenerative diseases in amyotrophic lateral sclerosis: a population-based case-control study. Neuroepidemiology. 1999; 18 (2):101-10
Riggs JE. The latency between traumatic axonal injury and the onset of amyotrophic lateral sclerosis in young adult men. Mil. Med. Aug 2001; 166 (8): 731-2
Sienko DG. Et al. Amyotrophic lateral sclerosis. A case-control study following detection of a cluster in a small Wisconsin community. Arch. Neur. 1990 Jan; 47(1): 38-41
Gregoire N. et al. Risk factors in amyotrophic lateral sclerosis. Initial results a propose of 35 cases. Rev. Neurol. (Paris) 1991; 147 (11): 706-13
Granieri E. et al. Motor neuron disease in the province of Ferrara, Italy, in 1964-1982. Neurology 1988; 38 (10):1604-8
Kington T. Motor neurone mystery, dated 25 February 2003;
available from http://www.uefa.com/trainingground/news/Kind=8/newsId=55783.html [Accessed 16 December 2003]

* Cattedra di Medicina dello Sport Università di Firenze.
** Agenzia di Medicina dello Sport Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi.
*** Medico ACF Fiorentina.


Fonte: Notiziario dell'Università degli Studi di Teramo
Sla, parla il prof Adriano Chiò - di F. Calsolaro


L´hanno battezzato Sunc1, ed è il più significativo fra i sette geni che favoriscono la comparsa della sla, la sclerosi laterale amiotrofica. La recente scoperta, un passo avanti eccezionale nella ricerca delle cause scatenanti di una malattia di cui si sa ancora molto poco, si deve allo studio internazionale sulla genesi della sla nelle forme non ereditarie (che sono le più comuni), coordinata, a livello nazionale, da Adriano Chiò, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Torino.
1. Professore la recente importante scoperta è che sono sette i geni che regolano lo sviluppo della sla, uno in maniera fondamentale. Cosa significa?
Quello che si è osservato è che ci sono dei geni che in qualche modo favoriscono la comparsa della malattia, cioè chi è portatore di questi geni ha una maggiore probabilità di avere la malattia, il che non vuol dire però che la svilupperà certamente, ma semplicemente che in condizioni favorenti, che ancora non conosciamo, la malattia si sviluppa.
Ma dire geni che regolano la Sla non significa dire cause che la provocano. Riguardo alle cause, i dati dimostrano che c'è una relazione stretta tra calcio e Sla: solo dal 1970 al 2001 ci sono stati 8 casi tra calciatori di serie A e B, l'incidenza è di 6 volte e mezzo superiore rispetto alla media nella popolazione generale. Tra le diverse ipotesi sulle cause di questa alta incidenza ci sono i traumi cerebrali, conseguenza dei colpi di testa, la frequenza dei microtraumi alle articolazioni, l'abuso di farmaci antinfiammatori. Un'inchiesta di Rainews24, lo scorso anno, accertò, però, che i terreni dei campi da calcio sono spesso trattati con erbicidi, concimi e vernici che possono risultare pericolosi. La tesi che vi sia un collegamento tra la composizione dei terreni dei campi da calcio e l'insorgere della Sla è rinforzata da studi che hanno rilevato che tra le categorie professionali gli ex agricoltori sono particolarmente colpiti, come tra gli sportivi lo sono golfisti e giocatori di football, tutti a contatto con i materiali citati.
2. Lei è consulente del pm torinese Raffaele Guariniello nell'inchiesta che indaga proprio su questi particolari aspetti dell'anomala relazione tra calcio e Sla. Quanto regge per lei questa tesi, quanto i materiali che compongono il terreno di gioco possono influire sull'insorgere della malattia?
In realtà è un'ipotesi, non ancora una certezza. Nel caso specifico, la commissione che sta lavorando con il consigliere Guariniello ha incluso di recente anche degli agronomi della facoltà di agraria proprio per valutare questi possibili fattori. Il punto è che l'esistenza di questi possibili fattori metterebbe bene in relazione la malattia con un'osservazione che era stata fatta in passato, cioè con un aumento di rischio di malattia per gli agricoltori.
3. Anche nell'indagine sul rugby che ha avviato con il Prof. Mora i riscontri vanno in questa direzione?
Per il momento nel rugby non vi sono delle indicazioni di un aumento di rischi di Sla. Il rugby ha delle caratteristiche, compreso il campo di gioco, molto diverse rispetto al calcio, quindi questo sembrerebbe, in realtà, dare una maggiore specificità al calcio, o qualcosa connesso con il calcio, come fattore della malattia.
4. Indagando in particolare sullo stadio Sinigaglia di Como, l'inchiesta di Rainews portò alla luce che il substrato del terreno potrebbe essere composto da materiale di scarto delle vicine fonderie di Dongo, ricco di metalli tossici quali carnio, piombo e cromo, ottimi drenanti, in più a costo zero. La società comasca è tra quelle con il più alto numero di calciatori colpiti da Sla. Solo una coincidenza?
Che sia una coincidenza è difficile dirlo ma anche che sia causale. È uno dei rami d'indagine. Ci sono dati di alcuni studi che rilevano che una categoria che è a maggiore rischio di Sla sono proprio i saldatori, quindi soggetti che fanno utilizzo di metalli nebulizzati nella saldatura. Resta più complesso definire come il residuo di fonderia presente al livello del terreno del campo riesca a salire in superficie.
5. E il doping? Può essere una concausa o no, visto che in altri sportivi dove pure c'è la pratica del doping, come il ciclismo, non si sono verificati casi di Sla?
Tendenzialmente io non credo molto al doping, ma questa la prenda come una mia opinione personale, nel senso che al momento attuale non abbiamo informazioni. Abbiamo studiato i ciclisti apposta per verificare questo e in effetti non abbiamo trovato casi. La sensazione è che il doping c'entri poco. È pur vero che si potrebbe dire che il doping usato nel calcio, e le sostanze usate come doping, siano diverse da quelle usate nel ciclismo, quindi pur non credendoci molto non è un'ipotesi completamente chiusa.
6. Tornando alla ricerca, Lei ha detto che la scoperta dei 7 geni è un punto d'inizio, ma è un punto d'inizio che può arrivare a una terapia?
Si ma in modo molto mediato, molto complesso e purtroppo non breve, nel senso che allo stato attuale noi abbiamo trovato questo gene principale e gli altri come regolatori, però non sappiamo ancora in quale modo regolano, e quindi in quale modo favoriscono la comparsa della malattia; p.artendo da questo, quando lo si sarà capito, si potrà forse arrivare ad un intervento terapeutico
7. Il professor Francesco Fornai, dell'Università di Pisa, e la sua equipe stanno lavorando sul litio, usato già in psichiatria. 16 ammalati di Sla, con speranza di vita limitata a un anno, e sono sopravvissuti oltre i 16 mesi con la somministrazione di litio. Ci sono speranze in questa direzione?
Sono in corso degli studi, fatti in un modo più scientifico, perché lo studio fatto dal Professor Fornai non rispettava le regole che usiamo per la valutazione dei farmaci. È uno studio nazionale, guidato proprio da noi di Torino. Le sensazioni che abbiamo non sono purtroppo positive, però non ci sono ancora dei dati formali; abbiamo visto una enorme quantità di effetti collaterali in questi pazienti, molti si sono addirittura ritirati, quindi ci sono dei dubbi sull'utilizzo del litio in termini di sicurezza e non solo di efficacia.