venerdì 7 novembre 2008
L’uomo e la macchina
Post pubblicato da “La Settimana Sportiva” e pubblicato dal Corriere dello Sport il 17 ottobre 2008
Spuntò all’improvviso alla terza di campionato: il Lecce contro il Siena, Mario Beretta contro il suo passato. Sulle gambe di Massimiliano Canzi, invece, il futuro: il computer, oggetto familiare in sport come la pallavolo e la pallacanestro, decisamente meno usuale nel calcio.
«Non sono un patito di computer, in linea di massima lo uso poco, però so che ci può dare una mano. Un mio collaboratore, Massimiliano Canzi, con lo strumento, invece, ha una grande dimestichezza e tre anni fa cominciammo a usarlo ».
Mario Beretta racconta con pacatezza, con l’umiltà tipica dell’uomo una novità che altri, al suo posto, quelli che lucidano la propria immagine con pazienza certosina, avrebbero spacciato per la rivoluzione del secolo. « Ma sia chiaro, in campo contro l’Udinese non ci va mica il computer e per fare risultato dovremo produrre una grande prestazione» , sottolinea il tecnico, facendo sfoggio di realismo. Il computer fa parte della quotidianità. Nel calcio, però, lo si guarda con una certa diffidenza. Forse perché il gioco stesso si presta poco alle schematizzazioni e la variabile del tocco fantasioso e improvviso, l’alito del genio, insomma, non può essere facilmente pianificato attraverso una raccolta di dati. Ma non ci si può nemmeno opporre allo spirito dei tempi, fermare a mani nude la macchina a vapore della tecnologia trionfante. Aiuta, il computer, anche se poi, come dice Beretta quel che conta «è il lavoro sul campo, il rapporto con i calciatori» . E aggiunge: «Io ho collaboratori estremamente reattivi ai richiami dell’innovazione. Un altro mio collaboratore, Carlo Garavaglia, venerdì mattina tiene una seduta di tecnica pura. E una cosa come questa i computer non la possono fare. Si tratta sempre di innovazione, anche se in questo caso le macchine non c’entrano».
Per essere un tiepido amante della tecnologia, Beretta è andato, però, piuttosto avanti. Il passo finale, il 21 settembre scorso, terza di campionato. Spiega: «Anche in questo caso la spinta è venuta dal mio collaboratore. Noi volevamo fare lo scouting, avevamo a disposizione un programma e così abbiamo deciso di provare. Durante il primo tempo, vengono raccolti tutti i dati e nell’intervallo do un’occhiata » . E’ l’ultimo tassello della personale evoluzione tecnologica del tecnico del Lecce. Una marcia, peraltro, non particolarmente lunga. La racconta, in poche battute: «Abbiamo cominciato tre anni fa. Montavamo su dvd momenti significativi delle nostre partite e di quelle dei nostri avversari. Dieci, tredici minuti. E questo è stato il primo passo». Inevitabile il secondo: «Dalle fasi di gioco, siamo passati al montaggio di immagini utili per illustrare le caratteristiche degli avversari, attaccanti, centrocampisti, difensori, portiere». Andando avanti le tecniche si sono affinate: «Prima mettevamo tutto su dvd. Adesso abbiamo consegnato ai giocatori una chiavetta usb e loro si vedono tutto a casa» . L’ultimo passo Beretta lo ha fatto poche settimane fa: lo scouting e l’uso in tempo reale del computer. Ma non vuole enfatizzare la scelta: «Si tratta di un supporto perché, poi, la sostanza è data dall’esperienza, dalle emozioni, dal lavoro sul campo. E’ uno strumento che aggiunge qualcosa. D’altro canto, il computer lo usa anche il mio preparatore atletico, ad esempio per scaricare i dati dei cardiofrequenzimetri satellitari, per immagazzinare i dati utili alla programmazione dell’attività fisico- atletica » . Tutto semplice, tutto normale. Eppure nel calcio il computer continua a far notizia, al contrario di quel che avviene nella pallavolo, dove si usa da anni e dove un signore che risponde al nome di Julio Velasco dichiarava già negli anni Ottanta la sua « euforia » per le enormi possibilità del mezzo: «Ma in quelle discipline le operazioni di scouting sono più semplici».
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«Mi ricordo che i ragazzi ci guardavano increduli, sembravamo apprendisti stregoni. Ora nel calcio ha fatto irruzione la generazione della play station e chi usa il computer per migliorare le prestazioni non viene più visto come un alieno » . Adriano Bacconi è stato tra i primi in Italia a scoprire la forza dell’informatica applicata al pallone. All’epoca, inizi anni Novanta, quella sembrava essere roba per sport come la pallacanestro o la pallavolo.
« Sia chiaro, non è che il calcio è più indietro rispetto a quelle discipline. Ma basket e pallavolo sono sport più schematici e il perfezionamento degli schemi dipende dalla quantità di informazioni che riesce a immagazzinare ed elaborare. Nel calcio le cose sono un po’ più complicate perché subentrano altre variabili ».
Lui, Bacconi, il computer lo ha portato in Nazionale. Trionfalmente, per giunta, visto che ha collaborato con Marcello Lippi in occasione del Mondiale del ’ 96. « Ma non lavoravamo in tempo reale » , precisa. Con l’aiuto della Federazione era stato messo in piedi un impianto satellitare che consentiva di seguire tutte le partite. Veniva immagazzinata una quantità enorme di dati e attraverso un software venivano passate al microscopio le azioni e le caratteristiche dei giocatori.
«Lippi utilizzava questo materiale prima e dopo la partita ». La tecnologia serviva per preparare la strategia e per correggere gli eventuali errori dopo averne preso atto anche in maniera visiva. Eppure la sfida dell’uso in tempo reale ( un dato acquisito, ad esempio, nella pallavo-lo), Bacconi in Nazionale provò a vincerla con Arrigo Sacchi. Praticamente, preistoria. L’Arrigo, si sa, era uno che precorreva i tempi, anche andando oltre il perfezionamento delle tecnologie. Racconta Bacconi: «Era il ’94, incombeva il Mondiale americano. E in alcune amichevoli sperimentammo un meccanismo all’epoca complicato. Varrella e io attraverso un software facevamo lo scout della partita. Sacchi, in comunicazione con noi dalla panchina, ci diceva cosa gli interessava rivedere alla fine del primo tempo. Noi tiravamo fuori tutti i dati e glieli consegnavamo nello spogliatoio. I giocatori ci guardavano increduli. Alla fine rinunciammo a proporre la sperimentazione durante Usa ’94: la tecnologia non era perfetta, si rischiavano ” buchi” a livello di comunicazione tra la panchina e noi».
Da « tecnico » del settore, Bacconi invita al realismo. E spiega: « L’informatica è uno strumento straordinario e può avere applicazioni che vanno abbondantemente al di là delle applicazioni sin qui normalmente compiute. Però, la differenza non è nel software ma è nel metodo scientifico. Perché il rischio è costituito da un uso improprio dello strumento: alcuni utilizzano la tecnologia senza credervi realmente, solo perché migliora l’immagine, la caratterizza con tratti di modernità. Un allenatore che, invece, usa questi strumenti con metodo è Rafa Benitez: lui è uno che ha puntato sullo studio, sulle risorse che derivano dalla conoscenza, sul confronto con la tecnologia. Però ci sono in Italia tecnici meno conosciuti, che lavorano in realtà periferiche, semmai con povere risorse finanziarie che hanno puntato sull’innovazione. Un nome? Aldo Dolcetti, allenatore della Spal, in C2. Mi sembra che questa scommessa gli stia dando ragione anche dal punto di vista dei risultati ».
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