mercoledì 5 novembre 2008

L'aziendalista


Articolo pubblicato da "La Settimana Sportiva" ripreso dal Corriere dello Sport a cura di Antonio Maglie.

In vetta al tredicesimo campionato consecutivo di A. L’Udinese di Giampaolo e Gino Pozzo non è una sorpresa ma la conferma che nel calcio chi programma e aguzza vista e ingegno ottiene risultati. Su quella panchina sono passati Zaccheroni e Guidolin, Spalletti e Marino ma le cose, alla fine, sono sempre andate nel verso giusto. Prima l’apparizione in Champions, adesso l’Uefa e il sogno­scudetto. Una fucina di successi e calciatori. Stranieri scelti pensando al costo e all’età: Muntari preferito a Essien perché più giovane; Pato «scartato» perché a sedici anni costava 2 milioni. Handanovic acquistato con 40 mila euro, Pepe riscattato con 1,3 milioni (ora ne vale 15). A Udine tutti (o quasi) vincono e fanno bene e i segreti del successo non sono poi così oscuri.
Sarebbe un bel segnale se lo scu­detto lo vincesse una outsider, l’Udinese o il Napoli. Fra i club le diffe­renze sono enormi, soprattutto dal pun­to di vista dei diritti televisivi. Sarebbe bello se il campo riavvicinasse i valori. Ma non è facile perché le Grandi torne­ranno grandi. Dovremo lottare e noi ab­biamo il dovere di impegnarci». Così Parlò Pasquale Marino, siciliano di Marsala, l’uomo che dalla panchina gui­da l’Udinese. Da Paternò alla vetta del campionato di A, passando per Catania e quattro promozioni.
L’ultima promozione sarebbe lo scu­detto. Ci pensa? «Vivo alla giornata. Questo è un perio­do in cui non ho tempo per rifiatare. Mercoledì si gioca di nuovo; questa mattina (ieri, n.d.r.) ci siamo allenati, ora prendo mia figlia a scuola e poi l’ac­compagno alla pallavolo. Non ho tempo per pensare».
Mercoledì torna in Sicilia. Da primo della classe: sensazioni, emozioni? «Ritrovo gente a cui sono legato, una società, il Catania, in cui ho vissuto be­ne ».
Vola anche la sua ex squadra... «La rivelazione del campionato, con l’Udinese e il Napoli».
Qualcosa in comune tra Udinese e Catania? «No, le mentalità sono diverse. Udine è in A da molti anni, il Catania è alla sua terza stagione: ha seminato bene e ora sta raccogliendo».
Tanto Sud al vertice di questa A: sor­preso? «Sinceramente non me lo sarei mai immaginato. Forse certe situazioni sono state facilitate dal fatto che alcune Grandi hanno avuto partenze un po’ len­te. Però, da uomo del Sud, mi fa piace­re ».

Voi avete travolto la Roma, l’Inter è stata bloccata dal Genoa: sarà una sta­gione di sofferenza per le Grandi? «Verranno fuori. Il calo in taluni casi dipende dagli infortuni: ci vuole fortuna anche nel calcio. E’ sempre meglio ave­re un organico al completo: i giocatori essendo in competizione si impegnano di più e sbagliano meno e il tecnico può fare scelte diverse».
La sua favorita? «Resta l’Inter».
La Coppa Uefa può condizionarvi? «Non credo. Abbiamo un organico piuttosto ampio: dobbiamo soltanto re­cuperare giocatori importanti come Za­pata, Felipe, Tissone e Obodo».
Le piace la Coppa Uefa? «E’ entusiasmante. Fino a qualche an­no fa non ci pensavo nemmeno a misu­rarmi a quei livelli».
Qual è il segreto del successo del­l’Udinese? Cambiano i giocatori, cam­biano gli allenatori ma i risultati alla fi­ne arrivano sempre. «Alla base di tutto c’è la società che la­vora seguendo un progetto, che cerca e trova continuamente giocatori giovani. Nulla è affidato al caso. Prendono Qua­gliarella lo mandano prima ad Ascoli, poi alla Samp quindi lo riprendono nel pieno della maturazione. Sul mercato riesce ad anticipare i concorrenti: San­chez lo hanno preso qualche anno fa e lo hanno lasciato in Sud America per poi portarlo in Italia al momento giusto».
Poi, però, tocca a lei valorizzare quei calciatori. «Non è una impresa difficile quando tra le mani hai degli atleti di talento».

A volte, però, bisogna crederci. Pepe è una scommessa vinta: come? «Lo scorso anno avevamo sette attac­canti e io in campo ne mando tre. Qual­cuno doveva partire e tra i possibili par­tenti c’era anche lui. E’ venuto da me, ha detto che non voleva andare via per­ché voleva giocarsi le sue chances. Si è messo a disposizione: ora tutti si sono accorti di lui ma in realtà è dallo scorso anno che gioca così».
Sanchez, invece, ha le stimmate del predestinato. «Deve migliorare ma rappresenta un grande patrimonio: deve solo crescere con pazien­za ».
Ha trasformato D’Agostino in un vero regista rigenerandolo. «In realtà, l’idea non è mia ma di Malesani. D’Agostino per noi è un giocatore importantis­simo anche perché in quel ruolo non abbiamo alternative».
L’identico dialetto vi aiuta? «Lui è di Palermo, io di Marsala. La prima volta che lo vidi giocare in quel ruolo fu a Reggio Calabria: allenavo ancora il Catania ma non giocavamo perché la nostra partita era stata rinviata. Media­no basso: era la prima volta che lo vede­vo giocare così e mi piacque».
Di Natale cos’è per voi? «Di Natale per tecnica è un giocatore straordinario. In più si sacrifica».
Come cambia il calcio man mano che si sale dalla C2 alla A? «Aumenta il ritmo, la velocità. I valo­ri tecnici in A sono elevati e la velocità di pensiero cresce. Perciò è importante lavorare bene in allenamento: meglio sedute più brevi ma a ritmi altissimi. Gli allenamenti a ritmi bassi non servo­no a nulla»

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