Fonte: Alessandro Rialti - Corriere dello Sport
Passerà alla storia del calcio come la rivolta dei ragazzini di Ponte a Elsa. O lo sciopero contro i papà- ultrà. La verità di questa strana storia di Natale la racconta Michele Mango, ds della scuola calcio Ponte a Elsa e, di fatto, il regista di questo formidabile contributo per il fair play. Mango è uno dei fondatori, con Gino Chiavacci, della struttura della quale da poco è diventato presidente Danilo Barnini. La premessa racconta delle furibonde litigate sugli spalti dei genitori che si accendevano come zolfanelli davanti alle esibizioni dei loro baby-campioni. Arrabbiati davvero, contro l’arbitro che, per altro, era di volta in volta uno dei genitori dei ragazzini della stessa scuola calcio. Litigata dopo litigata si è arrivati al giorno della festa prenatalizia. Ecco il racconto di Mango: «Il 12 dicembre ci siamo ritrovati a cena per i consueti auguri. Abbiamo fatto nascere la scuola due anni fa per dare ai ragazzi uno spazio tutto loro. Ma anche per insegnargli il valore della beneficenza. Il 12, dunque, eravamo tutti riuniti e dovevamo destinare la somma che avevamo raccolto, 1.100 euro, alla Fondazione Cuore di bimbo.
Soldi che sarebbero serviti a un piccolo malato per consentirgli di venire in Italia, un contributo per permettergli di usufruire dei nostri chiururghi e operarsi al cuore. Ma, visto l’accanimento che avevamo verificato (durante le nostre partite) contro gli arbitri, considerato che c’erano stati anche episodi gravi con genitori che erano addirittura venuti alle mani, abbiamo detto basta. E proprio in quella sede abbiamo lanciato l’idea dello sciopero. Sabato 15 e domenica 16 ci fermiamo...». Ma i ragazzi? Cosa ne pensavano? «Loro? Ne abbiamo del 1995 fino al 2002. I più piccini quando gli abbiamo detto che non si giocava hanno gridato: Nooo. Ma poi hanno ascoltato. Una discussione di trenta minuti. E loro attentissimi. Alla fine erano tutti d’accordo». Sì allo sciopero, perché non ne possono più di queste litigate, di questa tensione. Insieme al signor Mango c’è pure suo figlio, Stefano, un ragazzino sveglio con una gran ciuffo: «Urlano sempre, ci costringono a interrompere il gioco. E noi vogliamo giocare». Tutti così, decisissimi ad insegnare il fair play ai genitori. Fino...allo sciopero. E lo faranno, senza una sola esitazione. Intanto, il loro ds-padrefondatore continua a raccontare: «Di questa nostra iniziativa abbiamo informato anche le altre società della zona e non solo. Solo quattro o cinque ci hanno incoraggiato e pensano a fare la stessa cosa». E la Federazione? Se ha discusso e ridiscusso sulla possibilità del terzo tempo cosa dirà per questo sciopero degli under undici? «Ci è parsa un po’ incerta ». Loro, comunque, vanno avanti. Senza una sola incertezza. «Non pensavamo che questa nostra piccola iniziativa potesse avere un risalto così importante. Siamo rimasti assolutamente sorpresi. Ci stanno chiamando da mezzo mondo. Pure da Parigi, volevano mandare una troup, ma non giochiamo e quindi...». Servirà lo sciopero? E cosa ne dicono i diretti interessati? «Il nostro obiettivo - ha continuato il signor Mango - è quello di far aprire gli occhi ai genitori dei nostri ragazzi. Affinché smettano di trasmettere valori negativi per i figli. Il calcio è bello perché è un gioco e questi bambini vogliono solo giocare. Non gli interessano le risse verbali e le polemiche. Sognano il calcio, un pallone, fantasia e serenità». Riuscirà lo sciopero? Non ci sono dubbi, ora tocca a loro, ai papà sedersi in tribuna per applaudire i figli e l’arbitro di turno.
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